Il XX secolo volge al termine e noi ci ritroviamo con un mondo diventato più piccolo e con la sua popolazione divenuta un’unica comunità globale. Alleanze politiche e militari hanno dato vita a grandi gruppi multinazionali, l’industria e l’integrazione commerciale hanno portato a un’economia globalizzata e i mezzi di telecomunicazione hanno abbattuto le antiche barriere costituite dalle distanze, dalla lingua e dall’appartenenza razziale.
Ci ritroviamo tutti più vicini, anche di fronte ai gravi problemi con cui dobbiamo confrontarci: la sovrappopolazione, la diminuzione delle risorse naturali, una crisi ambientale che minaccia la nostra aria, l’acqua e gli alberi insieme a un incalcolabile numero di meravigliose forme di vita che rappresentano l’origine dell’esistenza su questo piccolo pianeta in cui viviamo.
Sono convinto che per affrontare le sfide dei nostri tempi gli esseri umani debbano sviluppare un maggior senso di responsabilità universale. Ognuno di noi deve imparare a lavorare non solo per il proprio benessere individuale, familiare o nazionale, ma anche per quello dell’umanità. Questo è il miglior presupposto per la pace mondiale: un uso equo delle risorse naturali e, col pensiero rivolto alle generazioni future, l’attenzione per l’ambiente.
Ho riflettuto a lungo su come accrescere il nostro senso di responsabilità reciproca e la motivazione altruistica da cui deriva. Ora brevemente vorrei offrivi le mie considerazioni.
Una sola famiglia umana
Che ci piaccia o meno, siamo nati su questo pianeta come parte di un’unica grande famiglia umana. Ricchi o poveri, istruiti o analfabeti, cittadini di una nazione o di un’altra, praticanti di una religione o di un’altra, appartenenti a questa o quella ideologia, alla fine ciascuno di noi è un essere umano esattamente come tutti gli altri. Tutti desideriamo la felicità e vogliamo evitare la sofferenza. Tutti abbiamo l’identico diritto di raggiungere questi obiettivi.
Il mondo contemporaneo ci chiede di accettare l’unicità della nostra umanità. In passato, esistevano comunità così isolate da poter credere che le altre fossero fondamentalmente diverse e vivere separatamente. Oggi invece ciò che accade in una parte del mondo si ripercuote anche sul resto del pianeta. E’ quindi necessario affrontare i problemi locali più importanti come una preoccupazione globale, dal momento stesso in cui sorgono. Non è più sostenibile appellarsi ai confini nazionali, razziali o ideologici che, in ultima analisi ci separano, creando ripercussioni disastrose. Nel contesto di questa nostra nuova interdipendenza, tenere in considerazione gli interessi degli altri è di fatto il modo più efficace per curare anche i nostri.E questo è per me un motivo di speranza.
La necessità di cooperare può soltanto rendere più forte l’umanità perché ci aiuta a comprendere che il fondamento più solido su cui costruire un nuovo ordine mondiale non sono semplicemente le alleanze politiche ed economiche, quanto piuttosto una autentica pratica individuale dell’amore e della compassione. Per un futuro più felice, stabile e civile, ognuno di noi deve sviluppare un sincero, caloroso senso di fratellanza.
Responsabilità universale
Vorrei prima di tutto precisare che personalmente non credo nella creazione di movimenti né nell’adesione a un’ideologia. Non mi piace neppure l’abitudine di fondare organizzazioni che promuovono una particolare idea, perché ciò implica che un gruppo di persone sia considerato l’unico responsabile del raggiungimento di un dato obiettivo, mentre tutti gli altri ne sono esonerati.
Nel contesto attuale, nessuno può seriamente credere che qualcun altro risolverà i nostri problemi; ognuno di noi si deve assumere la sua quota di responsabilità universale. In questo modo, man mano che aumentano le persone coinvolte e cresce il numero degli individui che si fanno carico della propria responsabilità avremo dieci, cento, mille o centinaia di migliaia di persone di questo tipo e il clima generale migliorerà. I cambiamenti positivi non avvengono in modo repentino e richiedono uno sforzo costante. Se ci scoraggiamo potremmo persino non raggiungere l’obiettivo più semplice. Ma con costanza e determinazione saremo in grado di affrontare anche le sfide più difficili.
Adottare un atteggiamento di responsabilità universale è essenzialmente una questione privata. La vera prova della nostra compassione non sta in ciò che possiamo dire durante conversazioni piuttosto astratte, ma nel modo in cui decidiamo di comportarci nella nostra vita quotidiana. Alcuni punti di vista fondamentali stanno alla base della pratica dell’altruismo. Sebbene nessun sistema di governo sia perfetto, la democrazia è quello che è più vicino alla natura essenziale degli esseri umani. Pertanto chi di noi vive in Paesi democratici dovrebbe continuare a lottare perché tutti possano godere di questo diritto. La democrazia è anche l’unico fondamento stabile su cui si possa costruire una struttura politica globale. Per lavorare insieme, dobbiamo rispettare i diritti di ogni cittadino e di ogni nazione di preservare il proprio carattere distintivo e i propri valori.
Sarà necessario uno sforzo immane per portare la compassione nel regno del business internazionale. Le diseguaglianze economiche, soprattutto tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, continuano a essere la causa di troppa sofferenza su questo pianeta.
A costo di rimetterci investimenti nel breve termine, le maggiori corporazioni multinazionali devono drasticamente ridimensionare lo sfruttamento dei Paesi poveri. E’ disastroso attingere alle scarse risorse che queste nazioni possiedono al solo scopo di alimentare il consumismo dei Paesi industrializzati. Se questo fenomeno continuerà senza controllo, alla fine ne soffriremo tutti.
Rafforzare i punti deboli e diversificare le economie costituiscono certamente un approccio più lungimirante nel promuovere la stabilità politica ed economica.
Per quanto possa apparire idealistico, competizione e desiderio di ricchezze non dovrebbero essere i soli propulsori dell’economia e della finanza.
Dobbiamo anche rinnovare il nostro impegno verso i valori umani anche nel campo delle scienze moderne. Lo scopo della scienza è quello di conoscere sempre di più e meglio la realtà, ma anche quello di migliorare la qualità della vita. Senza una motivazione altruistica, è impossibile per qualsiasi scienziato distinguere tra tecnologie che possono essere di beneficio e mere sperimentazioni. La catastrofe ambientale in corso è l’esempio più lampante di questa incapacità di distinguere. E ancor di più, una motivazione corretta dovrebbe essere fermamente stabilita nell’ambito delle nuove aree di ricerca, soprattutto quando si parla di tecnologie in grado di manipolare anche le strutture più sottili della vita stessa.
Se non basiamo ogni nostra azione su un solido fondamento etico, corriamo il terribile rischio di mettere a repentaglio la matrice stessa dell’esistenza.
Neppure le religioni del mondo possono esimersi da questa responsabilità. Scopo delle religioni non è costruire splendide chiese e templi, ma coltivare le qualità umane positive come tolleranza, generosità e amore. Ogni religione, indipendentemente dalla sua visione filosofica, ha come principio di base il ridimensionare il nostro atteggiamento egoistico e metterci al servizio degli altri. Sfortunatamente, spesso le religioni hanno causato più danni che benefici.
I praticanti delle diverse fedi dovrebbero capire che ogni tradizione religiosa ha un immenso valore intrinseco e l’obiettivo di favorire il benessere mentale e spirituale.
Proprio come il cibo, però, una sola religione non può soddisfare i bisogni di tutti. A seconda dei vari tipi di predisposizioni mentali, alcune persone traggono beneficio da alcuni insegnamenti, altre da altri. Ogni credo ha la capacità di produrre persone gentili e di buon cuore e, per quanto possano abbracciare filosofie tra loro contraddittorie, tutte le religioni hanno avuto successo in questa missione. Non c’è quindi ragione per essere intolleranti o perdere tempo in fanatismi che servono solo a dividere le persone. Dobbiamo rispettare e avere a cuore tutte le forme di pratica spirituale.
Il campo più rilevante in cui coltivare i semi dell’altruismo è indubbiamento quello delle relazioni internazionali. Negli ultimi anni il mondo è drammaticamente cambiato: la fine della guerra fredda, il collasso del comunismo nell’est Europa e nell’ex Unione Sovietica hanno dato l’avvio a una nuova era. Con il passaggio dagli anni Novanta sembrerebbe quasi che il ventesimo secolo abbia concluso un ciclo dell’esperienza umana.
Quest’ultimo è stato il periodo più doloroso della storia dell’umanità, un’epoca in cui la crescente potenza distruttiva delle armi ha prodotto morte e sofferenza mai viste prima. Abbiamo assistito allo scontro quasi letale tra due ideologie contrapposte e che hanno dilaniato la comunità umana: da una parte la forza e violenza bruta; libertà, pluralismo, diritti individuali e democrazia dall’altra. Credo che oggi il risultato di questo scontro sia sotto gli occhi di tutti. Anche se la pace, la libertà e la democrazia devono ancora confrontarsi con differenti forme di tirannia e crudeltà, è un fatto incontrovertibile che la stragrande maggioranza delle persone, ovunque nel mondo, desiderino il loro trionfo.
E così, le tragedie della nostra epoca non sono state completamente prive di utilità: in molti casi hanno rappresentato il mezzo che ha aperto finalmente gli occhi all’umanità. Il collasso del comunismo ne è la dimostrazione.
Sebbene il comunismo professi molti nobili ideali, compreso l’altruismo, l’applicazione che ne è stata fatta dalle élite di potere ha avuto effetti disastrosi. Questi governi hanno imposto un controllo terrificante al flusso delle informazioni nelle loro società e hanno promosso sistemi educativi che hanno insegnato ai cittadini a lavorare per il bene comune. Sebbene una rigida organizzazione possa inizialmente essere stata necessaria per sradicare i regimi oppressivi precedenti, una volta raggiunto lo scopo, essa non ha prodotto alcun risultato riguardo alla costituzione di una comunità umana utile. Il comunismo ha fallito perché ha adottato la forza per sostenere le proprie convinzioni. E alla fine, la natura umana non è più stata in grado di sopportare le sofferenze che le venivano inflitte.
La forza bruta, poco importa con quanto vigore sia applicata, non potrà mai sottomettere l’innato desiderio umano di libertà. Le centinaia di migliaia di persone che hanno marciato nelle città dell’Europa orientale ne sono la prova: esprimevano il loro bisogno di libertà e democrazia. E’ stato davvero commovente. Ciò che queste persone chiedevano non aveva nulla a che fare con una nuova ideologia; quelle persone parlavano con il cuore in mano, condividevano il medesimo desiderio di libertà, dimostravano apertamente ciò che sta alla base della nostra natura umana. La libertà, infatti, è la fonte della creatività sia per gli individui sia per la società. Non è sufficiente, come ritenevano i regimi comunisti, assicurare alla gente cibo, abiti e una casa. Se anche abbiamo tutte queste cose, ma siamo privi del prezioso vento della libertà che sostiene la nostra natura più profonda, siamo solo umani a metà, siamo ridotti ad animali, a cui basta soddisfare i bisogni fisici.
Sono convinto che le rivoluzioni pacifiche dell’est Europa e dell’ex Unione Sovietica ci abbiano insegnato molte importanti lezioni. La prima è il valore della verità: alla gente non piace essere ingannata, bistrattata o tradita, che a farlo sia una persona o un intero sistema. Questi atti sono contrari allo spirito essenziale di ogni essere umano. Inoltre, chi mente e usa la forza potrà anche ottenere dei risultati sul breve periodo, ma alla lunga sarà sopraffatto dalla maggioranza.
Tutti apprezzano la verità. Il rispetto per la verità scorre nelle nostre vene. La verità è il supremo garante e l’autentico fondamento della libertà e della democrazia. Non ha importanza se siete forti o deboli, o se la vostra causa ha molti o pochi sostenitori, la verità trionferà sempre. I movimenti per la libertà che hanno avuto successo nel 1989 e negli anni successivi si basavano sull’autentica espressione dei sentimenti umani più elementari. E questo è un utile memento perché la verità in sé continua ad essere assente in una vasta parte della nostra vita politica. Nelle relazioni internazionali soprattutto dimostriamo scarso rispetto della verità con la inevitabile conseguenza che le nazioni più forti manipolano e opprimono quelle più deboli, così come gli strati sociali più fragili delle nostre società soffrono a causa di chi è più ricco e potente.
Sebbene in passato la mera affermazione della verità sia stata ignorata perché ritenuta irrealistica, gli ultimi anni della nostra storia hanno dimostrato che essa rappresenta una forza immensa nella mente degli uomini e di conseguenza può cambiare la storia.
Una seconda grande lezione che possiamo imparare dall’est europeo è quella del cambiamento pacifico. In passato, gli oppressi hanno fatto ricorso alla violenza per conquistare la propria libertà. Oggi, grazie alle orme lasciate da Mahatma Gandhi e da Martin Luther King, le rivoluzioni pacifiche offrono alle generazioni future un esempio straordinario del successo che può avere l’azione non violenta.
Quando in futuro si renderanno necessari nuovi cambiamenti all’interno delle nostre società, i nostri discendenti potranno guardarsi alle spalle e ai nostri tempi come a un paradigma di lotta pacifica, a una storia di successo di dimensioni senza precedenti, che ha coinvolto dozzine di nazioni e centinaia di migliaia di persone.
Eventi recenti hanno ulteriormente dimostrato che il desiderio di pace e libertà risiede nelle pieghe più profonde della natura umana e che la violenza ne è la completa antitesi.
Prima di fare qualche considerazione in merito a quale potrebbe essere l’ordine mondiale che sia di maggior beneficio in quest’epoca post guerra fredda, credo sia indispensabile risolvere la questione della violenza, la cui eliminazione a qualsiasi livello è il presupposto ineludibile alla pace mondiale e al raggiungimento dell’armonia internazionale.
Non-violenza e ordine internazionale
Ogni giorno i media riferiscono di attacchi terroristici, di crimini, di violenza. Non sono ancora stato in un Paese in cui tragiche storie di morte e di spargimenti di sangue non riempiono quotidianamente le pagine dei giornali o i notiziari radio e tv. Sembra quasi che sia i giornalisti sia il pubblico abbiano sviluppato una specie di dipendenza per questo tipo di cronache. Eppure la stragrande maggioranza della specie umana non si comporta in modo distruttivo; dei 5 miliardi di abitanti di questo pianeta, sono davvero pochi quelli che compiono atti di violenza. La maggior parte di noi preferisce un’esistenza il più pacifica possibile.
Tutti amano la tranquillità, persino coloro che sono inclini alla violenza. La gente per esempio è felice in primavera, quando le giornate si allungano, il sole splende, i prati e le piante tornano verdi e tutto rifiorisce. D’autunno cade una foglia, poi un’altra e tutti i meravigliosi fiori appassiscono e muoiono e ci ritroviamo circondati da alberi spogli: allora non ci sentiamo più così felici.
Perché accade tutto questo? Perché in fondo al nostro cuore desideriamo una crescita costruttiva e benefica e non amiamo che ciò che ci circonda svanisca, si distrugga o muoia. Ogni azione distruttiva va contro alla nostra natura. Essere costruttivi, realizzare qualcosa: è questa la natura degli esseri umani.
Sono certo che tutti siano d’accordo nel voler eliminare la violenza, ma se vogliamo farlo definitivamente, dobbiamo prima valutare se essa rappresenti in una qualche misura un valore. Se affrontiamo questa domanda da un punto di vista pragmatico, potremmo arrivare alla conclusione che, in determinati casi, la violenza ha una sua utilità. Con la forza si possono risolvere velocemente i problemi, ma allo stesso tempo, questo successo va a discapito dei diritti e del benessere degli altri. Il risultato è che, sebbene un problema sia risolto, il seme di un altro viene piantato.
Se invece il punto di vista di una persona è sostenuto da un ragionamento valido, non c’è motivo di fare ricorso alla violenza. Solo chi è mosso esclusivamente da una motivazione egoistica e non ha la capacità di raggiungere il proprio obiettivo attraverso il ragionamento logico si affida alla forza. Anche nei diverbi che possono sorgere in famiglia o tra amici, chi ha motivazioni valide può spiegarle e rispondere alle obiezioni punto per punto, mentre chi ha modeste capacità logiche cade subito in preda alla rabbia. Da ciò possiamo dedurre che la rabbia è un sintomo di debolezza, non di forza. Ciò che conta, in ultima analisi, è verificare la propria motivazione e quella degli altri.
Esistono molti tipi di violenza e di non-violenza, ma è impossibile distinguerli esclusivamente basandosi su fattori esteriori. Quando si ha una motivazione negativa, l’azione che si produce è, in senso profondo, una forma di violenza, anche se ammantata di gentilezza e cordialità. Al contrario, se si ha una motivazione sincera e positiva, ma le circostanze richiedono un comportamento duro, si sta praticando la non-violenza.
Indipendentemente da tutto, ritengo che una preoccupazione compassionevole per il benessere del prossimo - e non semplicemente per il proprio - sia l’unica giustificazione per l’uso della forza.
La pratica della autentica non-violenza è ancora in un certo senso sperimentale su questo nostro pianeta, ma il suo perseguimento - basato su amore e comprensione - è sacro. Se questo esperimento avrà successo, spalancherà le porte a un mondo che nel prossimo secolo sarà più pacifico.
Mi è capitato sentire alcuni occidentali dire che la resistenza passiva tipica dell’approccio non-violento di Gandhi a lungo termine non sia adatta a chiunque e che questo modo di agire è più connaturato agli orientali. Visto che gli occidentali sono persone più votate all’azione, tendono a cercare un risultato immediato in ogni circostanza, anche a costo della loro vita. Non credo che questo approccio sia sempre di beneficio. Ma sono convinto che la non-violenza sia adatta a tutti noi. Richiede semplicemente una maggiore determinazione. E quand’anche i movimenti dell’europa orientale avessero raggiunto i loro traguardi velocemente, la protesta non-violenta richiede per sua natura la pazienza.
A questo proposito, io prego che, nonostante la brutalità della repressione a cui sono sottoposti e alle difficoltà che devono affrontare, coloro che sono impegnati a favore della democratizzazione della Cina riescano a rimanere pacifici. E sono fiducioso che lo saranno. Nonostante la maggior parte degli studenti cinesi coinvolti in questo movimento siano nati e cresciuti sotto una forma particolarmente dura di comunismo, nella primavera del 1989 essi hanno spontaneamente messo in pratica la strategia di Gandhi della resistenza passiva. E’ un fatto significativo, che indica chiaramente come ogni essere umano desideri seguire il cammino della pace, indipendentemente da quanto sia stato indottrinato.
Zone di pace
Il ruolo del Tibet nella comunità asiatica è quello di essere quella che io chiamo “zona di pace”: una sorta di santuario neutrale e demilitarizzato, dove le armi sono bandite e la gente vive in armonia con la natura. Non è un sogno, è esattamente il modo in cui i tibetani hanno scelto di vivere per oltre un millennio, prima che il nostro Paese venisse invaso.
Come tutti sanno, in Tibet qualsiasi forma di vita, anche selvatica, veniva seriamente protetta in accordo con i principi buddhisti. Inoltre, per almeno gli ultimi 300 anni, non abbiamo avuto un esercito. Il Tibet ha abbandonato l’idea della guerra come strumento di politica nazionale nel VI e VII secolo, dopo il regno dei nostri tre grandi sovrani buddhisti.
Tornando alla relazione tra lo sviluppo delle comunità regionali e la sfida del disarmo, vorrei suggerire che il cuore di ogni comunità dovrebbe essere una o più nazioni che hanno deciso di diventare zone di pace, aree cioè in cui le forze armate sono vietate. Ancora una volta, questo non è un sogno. Quarant’anni fa, nel dicembre 1948, il Costa Rica ha smantellato il suo esercito. Recentemente, il 37% della popolazione elvetica ha votato per l’eliminazione delle forze armate svizzere. Il nuovo governo della Repubblica Ceca ha deciso di interrompere la produzione e l’esportazione di armi. Se queste persone hanno deciso così, anche una nazione intera può prendere la decisione radicale di cambiare il proprio modo di essere.
Le zone di pace all’interno di comunità regionali rappresenterebbero delle oasi di stabilità. Pur continuando a contribuire ai costi di una forza collettiva, creata dalla comunità nella sua interezza, queste zone sarebbero i precursori e le luci guida di un mondo interamente pacifico e si asterrebbero da qualsiasi forma di conflitto.
Se si sviluppassero comunità regionali in Asia, America Latina e Africa e si procedesse sulla via del disarmo, creando un’unica forza internazionale, queste zone di pace sarebbero in grado di espandersi, diffondendo pace e tranquillità.
Non c’è bisogno di credere che siano piani per un futuro remoto, quando valutiamo questa o altre ipotesi per un mondo nuovo, più cooperativo dal punto di vista politico, economico e militare.
La Conferenza sulla Cooperazione e la Sicurezza in Europa ha già gettato le basi per un’alleanza non solo tra gli stati dell’Europa orientale e occidentale, ma anche con gli stati membri del Commonwealth e gli Stati Uniti. Questi eventi degni di nota hanno virtualmente eliminato il rischio di una nuova guerra mondiale tra queste superpotenze.
Non ho citato le Nazioni Unite in questa discussione perché sono noti a tutti sia il loro ruolo nella creazione di un mondo migliore sia il grande potenziale che ancora possono esprimere. Per definizione, le Nazioni Unite devono essere il fulcro di qualsiasi grande cambiamento, anche se sarà necessario rivederne la struttura in futuro.
Ho sempre riposto grandi speranze nelle Nazioni Unite e, senza voler fare alcuna polemica, vorrei semplicemente far notare che oggi non viviamo più nello stesso clima del periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale che ha improntato il carattere e l’idea stessa di Nazioni Unite. Il cambiamento che c’è stato porta con sé anche l’opportunità di una ulteriore democratizzazione dei questa organizzazione, in particolare del Consiglio di Sicurezza con i suoi 5 membri permanenti, che dovrebbe diventare più rappresentativo.
Conclusioni
Vorrei concludere dicendo che, in generale, sono ottimista riguardo al futuro. Alcune tendenze recenti fanno presagire la grande potenzialità di arrivare a un mondo migliore. Fino alla fine degli anni Cinquanta e Sessanta, la gente era convinta che la guerra fosse un tratto inevitabile dell’umanità. La Guerra Fredda, in particolare, ha rafforzato l’idea che sistemi politici contrapposti potessero solo scontrarsi, non semplicemente competere né tanto meno collaborare. Ben pochi ormai sono quelli che ancora credono in questa visione.
Oggi le persone di tutto il pianeta sono sinceramente preoccupate per la pace nel mondo. Sono sempre meno interessate a promuovere un’ideologia e più orientate a trovare modi pacifici di coesistenza. Questi sono sviluppi incoraggianti.
Per secoli si è creduto che solamente un’organizzazione autoritaria, con la sua rigida disciplina, potesse governare la società. Ma le persone hanno un innato desiderio di libertà e di democrazia, e queste due forze opposte sono entrate in conflitto. Oggi è chiaro chi ha avuto la meglio: la nascita del movimento non-violento “potere al popolo” ha dimostrato in modo innegabile che l’essere umano non può né tollerare né esprimere il meglio di sé sotto la tirannia. Questo dato di fatto rappresenta un progresso notevole.
Un altro sviluppo che rende fiduciosi è la crescente compatibilità tra scienza e religione. Per tutto il XIX e XX secolo l’apparente contraddizione tra le due diverse visione del mondo ha creato solo confusione nella mente delle persone.
Oggi, la fisica, la biologia e la psicologia hanno raggiunto un tale livello di progresso che molti scienziati hanno iniziato a porsi domande sempre più profonde sulla natura ultima dell’universo e della vita. Le stesse domande che rappresentano l’interesse principale di ogni religione. Abbiamo quindi la prospettiva realistica di arrivare a un punto di convergenza. In particolare, sembra che stiano emergendo nuovi concetti di mente e materia. L’oriente è sempre stato interessato più alla comprensione della mente, mentre l’occidente a quella della materia. Ora che queste due visioni si sono incontrate, i punti di vista materiali e spirituali riguardanti la vita potranno forse armonizzarsi maggiormente.
Anche il rapido cambiamento nel nostro atteggiamento nei riguardi della Terra è motivo di speranza. Cinquant’anni fa, o anche 10 anni fa, le risorse naturali venivano consumate con grande spensieratezza, come se fossero inesauribili. Ora, non solo i singoli ma anche i governi si stanno impegnano a stabilire un nuovo ordine ecologico.
Spesso scherzando dico che la luna e le stelle sono bellissime, ma se provassimo a viverci diventeremmo infelici. Il nostro pianeta azzurro è l’habitat più meraviglioso che conosciamo. La sua vita è la nostra vita, il suo futuro è il nostro. Anche se non credo che la Terra sia un essere senziente, di fatto però si comporta come se fosse nostra madre e noi, proprio come dei bambini, dipendiamo da lei. Ora Madre natura ci chiede aiuto. Di fronte a problemi come l’effetto serra o il buco nell’ozono, singole organizzazioni o nazioni sono impotenti. Finché non ci mettiamo al lavoro tutti insieme non troveremo alcuna soluzione. La nostra Madre ci sta dando una lezione sulla responsabilità universale.
Penso che possiamo dire che, grazie alle lezioni da cui abbiamo iniziato a imparare, il prossimo secolo sarà più amichevole, più armonioso, meno aggressivo. La compassione, il seme della pace, sboccerà. Ho davvero una grande speranza. E allo stesso tempo, sono convinto che ciascuno abbia una grande responsabilità nel fare in modo che la famiglia umana vada nella giusta direzione. Augurarsi che tutto vada per il meglio non è sufficiente, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. I grandi movimenti sorgono da iniziative individuali. Se pensate di non avere alcun impatto, la persona che sta accanto a voi potrebbe scoraggiarsi e una grande opportunità andrebbe sprecata. Ognuno di noi può essere fonte di ispirazione per gli altri, semplicemente impegnandosi nello sviluppare una motivazione altruistica.
Sono convinto che tante persone, sincere ed oneste, in giro per il mondo la pensano allo stesso modo. Sebbene anche la mia voce possa essere inascoltata, sento che dovrei parlare anche a loro nome. Certo, alcuni potrebbero pensare che è molto presuntuoso da parte del Dalai Lama esprimersi in questo modo. Ma visto che ho ricevuto il Premio Nobel per la Pace, sento di avere questa responsabilità. Se mi fossi limitato ad accettare i soldi del premio, per spenderli a mia discrezione, avrei fatto la figura di chi per anni ha detto tutte queste belle parole solo per vincere un premio! Tuttavia, visto che ho ricevuto questa onorificenza, devo ripagare il privilegio che mi è stato concesso continuando a sostenere la causa a cui mi sono votato.
Credo fermamente che i singoli possano fare la differenza. E visto che i momenti di grande cambiamento come quello attuale accadono di rado nella storia, dovremmo cogliere l’opportunità di farne il miglior uso possibile per creare un mondo migliore.