Nel corso della storia, l’umanità ha tentato di conquistare la pace in vari modi. E’ troppo ottimistico immaginare che un giorno finalmente ci riusciremo? Non credo che l’odio tra la gente sia aumentato, piuttosto è cresciuta la capacità di manifestarlo, attraverso armi sempre più distruttive. Aver assistito alla tragica evidenza dello sterminio di massa causato da queste armi nel nostro paese ci ha dato l’opportunità di controllare la guerra. Ed è chiaro che è necessario deporre le armi.
Il disarmo può essere messo in atto soltanto nel contesto di nuove relazioni politiche ed economiche. Prima di affrontare questo argomento in dettaglio, vale la pena immaginare il tipo di processo di pace dal quale si otterrebbe il maggior beneficio. Questo è abbastanza evidente. Innanzi tutto andrebbe eliminato l’arsenale nucleare, poi le armi chimiche e batteriologiche, poi quelle da assalto e alla fine quelle da difesa. Allo stesso tempo, per preservare la pace, bisognerebbe creare, in una o più regioni globali, delle forze di polizia internazionali, formate da persone di ogni nazione in egual misura, sotto un comando collettivo. Alla fine, questa forza coprirebbe il mondo intero.
Grazie al processo di disarmo da un lato e la simultanea creazione di una forza congiunta - e che sia al tempo stesso multilaterale e democratica - dall’altro, il diritto di critica della maggioranza dei cittadini o l’intervento, nel caso una nazione violi gli accordi stabiliti, sarebbero garantiti. Inoltre, con l’eliminazione della maggior parte delle armi e le dispute - come quelle di confine - tenute sotto controllo da questa forza internazionale congiunta, si arriverebbe a un’autentica uguaglianza tra nazioni grandi e piccole. Il risultato di simile riforme sarebbe una grande stabilità internazionale.
Naturalmente, gli immensi dividendi finanziari raccolti dalla cessazione della produzione di armi potrebbero assicurare una inaspettata risorsa per lo sviluppo globale. Oggi le nazioni spendono miliardi di dollari ogni anno per il mantenimento delle proprie forze armate. Immaginate quanti letti di ospedale, scuole e abitazioni si potrebbero creare con quei soldi? In più, come ho detto precedentemente, la spropositata quantità di investimenti sperperati nello sviluppo militare non solo impedisce l’eliminazione della povertà, dell’analfabetismo e delle malattie, ma costituisce anche uno spreco dell’intelligenza umana.
Abbiamo scienziati davvero brillanti. Perché la loro genialità deve essere impiegata per imprese così devastanti quando potrebbe invece rappresentare la chiave per lo sviluppo globale?
I grandi deserti del pianeta, come il Sahara o il deserto del Gobi, potrebbero essere coltivati per incrementare la produzione di cibo fino a superarne la domanda. Molti Paesi affrontano terribili siccità: basterebbe sviluppare metodi di desalinizzazione meno costosi per rendere l’acqua di mare potabile e adatta agli usi che ne facciamo.
Vi sono molte questioni urgenti in ambito energetico e sanitario alle quali i nostri scienziati potrebbero dedicarsi in modo più proficuo per tutti. E poiché l’economia, grazie ai loro sforzi, crescerebbe e loro riceverebbero migliori compensi!
Il nostro pianeta ha il dono di possedere immense risorse naturali. Usandole in modo appropriato - cominciando con l’abolizione delle armi e della guerra - ogni essere umano potrebbe vivere un’esistenza ricca e soddisfacente.
La pace nel mondo, ovviamente, non può arrivare d’un tratto. Poiché le condizioni nel mondo sono differenti, la sua diffusione deve avvenire gradatamente. Ma non vi è motivo per cui non si possa iniziare da qualche parte, e poi diffondere la pace da un continente a un altro.
La mia proposta è che le comunità regionali, come l’Unione Europea, vengano considerate come parte integrante di quel mondo più pacifico che stiamo cercando di costruire.
Guardando con obiettività al contesto post guerra fredda, queste comunità sono chiaramente le componenti più ovvie e naturali di un nuovo ordine mondiale. Come vedete, la spinta quasi gravitazionale della nostra crescente interdipendenza necessita di strutture nuove e maggiormente cooperative. L’Unione Europea sta facendo da apripista in questo sforzo, negoziando il delicato equilibrio tra interessi economici, militari e politici da un lato, e i diritti sovrani degli stati membri dall’altro. Trovo questo lavoro davvero stimolante.
Credo anche che il nuovo Commonwealth degli Stati Indipendenti si stia confrontando con questioni analoghe e i semi di una comunità analoga sono già presenti nella mente di molte delle repubbliche che ne fanno parte. In questo contesto, vorrei spendere qualche parola riguardo al futuro del mio Paese, il Tibet, e della Cina.
Come l’ex Unione Sovietica, la Cina comunista è uno stato multinazionale, costruito artificialmente sotto l’impeto di un’ideologia espansionista e tutt’ora governato con la forza e con un approccio colonialistico.Un futuro pacifico, prospero e soprattutto politicamente stabile per la Cina si fonda sulla capacità soddisfare pienamente il desiderio di un sistema di governo più aperto e democratico non sono dei cinesi, ma anche degli 8 milioni di individui appartenenti alle cosiddette “minoranze nazionali” che aspirano a riconquistare la propria libertà.
Perché ci sia di nuovo un po’ di felicità nel cuore dell’Asia - la casa del 50% della razza umana - quella che oggi viene ancora chiamata “Repubblica Popolare Cinese” deve diventare una comunità di stati sovrani pluralistici, democratici e mutualmente collaborativi.
Questa comunità non si deve limitare ai popoli attualmente ancora sotto la dominazione comunista cinese, come i tibetani, i mongoli e gli uiguri. La gente di Hong Kong, coloro che vogliono una Taiwan indipendente e persino coloro che ancora soffrono sotto altri regimi comunisti nella Corea del Nord, in Vietnam, in Laos e in Cambogia, tutte queste popolazioni dovrebbero essere seriamente interessate nella costruzione di una comunità asiatica. Tuttavia, è particolarmente urgente che soprattutto coloro che sono ancora sotto il dominio del partito comunista cinese facciano il primo passo. Raggiungere questo obiettivo potrebbe addirittura salvare la stessa Cina dalla propria violenta dissoluzione, dai regionalismi e dei feroci scontri che hanno già afflitto questo Paese nel corso del XX secolo.
Attualmente la vita politica cinese è così polarizzata che vi sono tutti i presupposti per temere un nuovo insorgere di spargimenti di sangue e tragedie. Tutti noi, ogni membro della comunità umana, abbiamo la responsabilità morale di aiutare ad impedire l’immane sofferenza che una guerra civile potrebbe causare alla popolazione cinese.
Sono convinto che il processo stesso di dialogo, modernizzazione e compromesso, necessari per la costituzione di una comunità di stati asiatici, da solo darebbe una speranza per l’evoluzione pacifica verso un nuovo ordine in Cina.
Fin dall’inizio, gli stati membri di questa comunità dovrebbero decidere e condividere insieme la loro politica di difesa e di relazioni internazionali. Si troverebbero tantissimi modi per collaborare. Il punto chiave è individuare un modo pacifico e non-violento affinché le forze di liberazione, democratizzazione e moderazione riescano ad emergere con successo nell’attuale atmosfera di ingiusta repressione.